Tutto cambia perché nulla cambi. La politica si rinnova, cambiano i nomi, i partiti, gli uomini. Ma i risultati stentano ad arrivare anche e soprattutto perché cambia la banda ma la musica è sempre la stessa. Le problematiche dell’ambiente che ci circonda sono note. Decine e decine di inchieste con arresti eccellenti. I processi, nonostante parecchi fermi al palo, hanno dato i loro frutti. Molte condanne sono state confermate anche dalla Cassazione. Che la nostra terra campana sia una terra di ecomafie è accertato. È una verità ormai palesemente e tristemente sotto gli occhi di tutti. Gli imprenditori del pattume senza una politica corrotta e collusa hanno vita breve. Già negli anni ’70 e ’80 chi si occupava di monnezza sapeva che doveva trattare con le mafie. Le amministrazioni locali sapevano a chi rivolgersi. I monnezzari erano pronti a risolvere i loro problemi soprattutto di natura elettorale. Le campagne costano e la politica necessitava di moneta sonante. In una famigerata riunione a Villaricca agli inizi degli anni ’90 si sancì il pactum sceleris tra politica, imprenditoria, mafia casalese e massoneria. Tutti seduti allo stesso tavolo, con un unico desiderio: camionate e camionate di pattume tossico liquido o solido, fanghi, materiale ospedaliero, solidi urbani, industriale, erano pronte a varcare il confine del Garigliano e devastare la Campania Felice. A quel tavolo maledetto non mancava nessuno. Gli accordi erano chiari: tangenti in cambio di permessi e fiumi di miliardi di lire. All’incirca 500 mila camionate sono giunte nelle nostre contrade. Dal Centro-Nord Italia, dai porti, via Autostrade, dall’estero. La Campania, terra di clan mafiosi senza scrupoli, è stato il crocevia di traffici illeciti di rifiuti con l’avallo e il silenzio di chi poteva e nulla ha fatto per evitare i disastri perpetrati. La massoneria targata P2 vigilava e si era fatta promotrice degli accordi. A Villa Wanda, residenza di Licio Gelli, qualcuno era di casa. Il casalese massone Gaetano Cerci, marito della cugina di Cicciotto Bidognetti la conosceva bene. Nei ministeri, Cipriano Chianese aveva gli agganci giusti. Il capo di qualche partito è stato in barca con qualche masnadiero casertano. Ponza era la meta delle escursioni. Le Istituzioni romane, nella migliore delle ipotesi, sono state a guardare. Tutti sapevano e tutti hanno taciuto. Le ecomafie sono state uno dei principali business a marchio casalese. Anche se i soldati e i reggenti made in Casal di Principe poco quanto nulla conoscevano dell’affare. Solo alla fine degli anni ’80 hanno preso coscienza che qualcuno era diventato il vero Re della monnezza. Il sovrano pensava che pagare la camorra locale bastava. Invece poi i clan lo vollero incontrare ed entrare direttamente nell’affare. Le 24 ore piene di banconote venivano trasportate nei cofani delle lussuose automobili di questi affaristi del crimine. I luoghi di incontro erano i caselli autostradali o le aree di servizio. Le dazioni avvenivano alla luce del sole. Il Jolly Hotel di Napoli o gli uffici dell’Assessorato all’Ecologia della Provincia di Napoli le basi dove poter trattare le concessioni, le proroghe, le autorizzazioni, in cambio di tangenti. Nel frattempo le commerciali del trasporto facevano i loro sporchi viaggi. I baracchini di notte diventavano di fuoco. Gli autisti sapevano quando caricare e soprattutto dove andare a scaricare. Si caricava e si viaggiava di giorno e si scaricava di notte. Quasi sempre la notte, mentre tutti dormivano, qualcuno “lavorava”. Gli addetti sapevano quello che facevano. I proprietari dei terreni, forse inconsapevoli, stavano “comprati” a suon di quattrini. Le pale meccaniche e le luci si azionavano all’arrivo dei primi camion. Le cave e le discariche erano luoghi off-limit per le forze dell’ordine. Intanto la terra deglutiva veleni. Le province di Napoli e Caserta, in venti anni di traffici, hanno ingoiato all’incirca 15 milioni di tonnellate di veleni. Financo nel Parco del Vesuvio o agli Astroni. Un sito valeva l’altro. Negli ultimi anni la politica e le Istituzioni non volevano ammettere che era un meccanismo collaudato e perfetto. Dal ’92 i collaboratori di Giustizia c’hanno illuminato su come la politica ha sempre svolto un ruolo di primo piano nella vicenda ecomafiosa. Senza politici corrotti e assetati di soldi, forse la catastrofe in atto si poteva almeno arginare. Oggi come ieri. Basta avere gli uomini giusti nei posti giusti.