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Posti di lavoro in cambio di voti per la sorella, in manette l’ex direttore del Cub Antonio Scialdone

Nell’Agro caleno lo conoscono tutti. sa Antonio Scialdone è stato il vero e proprio “deus ex machina” della maggioranza consiliare vitulatina dal 2009 al 2013. È proprio il periodo delle elezioni amministrative del giugno 2009 che si è concentrata l’attenzione del giudice per le Indagini Preliminari Colucci nell’ultima ordinanza a carico dell’ex direttore Generale del Consorzio Unico di Bacino delle Province di Napoli, Antonio Scialdone (ai domiciliari), insieme con l’amico d’infanzia Maurizio Fusco, 33 anni, (già detenuto e ritenuto referente di zona della fazione Schiavone del clan di Casal di Principe) di concorso in voto di scambio aggravato. Posti di lavoro in cambio dei voti del clan dei Casalesi per sostenere l’elezione della sorella alle amministrative di Vitulazio (Caserta) del giugno 2009. La spuntò per soli due voti di differenza il dott. Achille Cuccari. Scialdone Giovanna Lina, sorella di Antonio, risulterà la candidata più votata, tra tutte le liste, ottenendo ben 268 preferenze, in seno all’amministrazione comunale, ha rivestito l’incarico di assessore con delega all’Ecologia, Personale ed Attività Produttive, fino al maggio di quest’anno. Il Nucleo di Polizia Tributaria del Comando Provinciale della G.d.F. di Caserta durante una perquisizione domiciliare a carico dello Scialdone, rinveniva un’agenda dell’anno 2009 sulla quale venivano annotate con la dicitura “voti 6-7 giugno-Vitulazio” una serie di nominativi evidentemente relativi al calcolo dei voti per le elezioni del consiglio comunale del Comune di Vitulazio, con la specifica indicazione del Fusco Maurizio e di persone a lui vicine. Continua la lettura di Posti di lavoro in cambio di voti per la sorella, in manette l’ex direttore del Cub Antonio Scialdone

Appalti Trenitalia e Consip, l’ex parlamentare berlusconiano Alfonso Papa di nuovo al gabbio

Nuovo arresto per l’ex parlamentare Pdl Alfonso Papa. I militari del Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Napoli hanno eseguito un’ordinanza emessa dal gip di Napoli applicativa della custodia cautelare in carcere per Alfonso Papa e ai domiciliari per Giovanni Papa, padre dell’ex parlamentare. Ad entrambi sono contestate più condotte di concussione per induzione, ora “indebita induzione a corrispondere denaro e altre utilità”, realizzate con riferimenti agli imprenditori Angelo e Roberto Grillo, operanti nel settore dei servizi di pulizia e arrestati nelle scorse settimane. I Grillo “erano titolari di una società destinataria, all’epoca dei fatti, di interdittiva antimafia adottata dalla Prefettura di Caserta – ricorda il procuratore aggiunto Alfonso D’Avinoper gli accertati rapporti tra la famiglia Grillo e soggetti appartenenti e comunque contigui al clan camorristico Belforte di Marcianise”. Alfonso Papa, in qualità di parlamentare, membro della Commissione Giustizia della Camera e della Commissione parlamentare antimafia negli anni 2009 e 2010, avrebbe indotto i Grillo (in particolare Angelo Grillo è stato arrestato ieri per la seconda volta nell’ambito dell’inchiesta su una speculazione edilizia a Marcianise. Era già coinvolto in altre inchieste, come quella sugli appalti concessi dall’Asl di Caserta alle sue ditte, ed è attualmente detenuto a Parma (in regime di 41 bis) per concorso esterno in associazione camorristica – nda) a cedere alle sua richieste di denaro prospettando che, anche in forza dei suoi legami con i più alti livelli della pubblica amministrazione e degli enti partecipati, avrebbe garantito “la sua protezione e il suo intervento risolutivo sul Consiglio di Stato, presso il quale pendeva la procedura proposta dai Grillo contro la decisione del Tar Campania che, in prima istanza, aveva rigettato il ricorso contro l’interdittiva antimafia, gravame poi effettivamente accolto dal Consiglio di Stato”. Continua la lettura di Appalti Trenitalia e Consip, l’ex parlamentare berlusconiano Alfonso Papa di nuovo al gabbio

La camorra nell’affaire monnezza, il sistema già corrotto da politica e imprenditoria

Una condanna a 14 anni di reclusione. È quanto ha richiesto al collegio giudicante presieduto da Orazio Rossi del tribunale di Santa Maria Capua Vetere il pm Antonello Ardituro, alla fine della requisitoria del processo che vede imputato l’ex sindaco di Villa Literno e attuale consigliere regionale Enrico Fabozzi per concorso esterno, reimpiego, turbativa d’asta, corruzione e voto di scambio. Ardituro ha chiesto anche che all’ex primo cittadino venga riconosciuta l’aggravante di aver fatto parte di una associazione armata. Il pm, poi, ha chiesto l’assoluzione per il reato di estorsione per Raffaele Pezzella, per il quale pero’ vuole 3 anni di pena per turbativa d’asta; per Nicola Caiazzo una condanna a 3 anni; per i collaboratori giustizia Francesco Diana, Massimo Iovine e Gaetano Ziello una pena di 1 anno e sei mesi. Tre anni, invece, per l’altro collaboratore Emilio Di Caterino. Per i due fratelli imprenditori Pasquale e Domenico Mastrominico, il pm ha chiesto 11 anni di reclusione. Tutti accusati di concorso esterno in associazione camorristica per il maxi appalto da 13 milioni di euro concesso nel 2007 ad imprenditori vicini al clan dei Casalesi. Nella requisitoria  Ardituro ha ripercorso quelli che sono stati i rapporti tra imprenditori, Fabozzi e la camorra nella gestione degli appalti. Una “filiera” ha detto Ardituro, che inizia con il patto avvenuto nel 2003 tra Fabozzi e Luigi Guida, oggi collaboratore. Continua la lettura di La camorra nell’affaire monnezza, il sistema già corrotto da politica e imprenditoria

Cemento a disposizione del clan dei casalesi: sequestrato il tesoro di Alfonso Letizia

Cento milioni di euro, il tesoretto dei Casalesi è finito sotto sequestro grazie a un’operazione della direzione investigativa antimafia di Napoli che ha messo i sigilli alle aziende riconducibili all’imprenditore 67enne Alfonso Letizia, operante nel settore del calcestruzzo. Secondo gli investigatori l’imprensitore è da ritenersi un vero e proprio affiliato al clan, fazione Bidognetti – Iovine: in cambio di una posizione dominante sul mercato aveva messo a disposizione della “famiglia” le sue aziende e strutture. Il provvedimento di sequestro è stato emesso dal presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Corinna Forte, su richiesta del direttore della Dia Arturo De Felice. I beni sono riconducibili ad Alfonso Letizia , 67enne originario di Casal di Principe, imprenditore mondragonese attivo nel settore della produzione e della vendita del calcestruzzo. Un’indagine del 2011 aveva già svelato gli intrecci illeciti del ceto politico di Casal di Principe con l’ala militare e imprenditoriale dal clan dei casalesi, fazione Schiavone e Bidognetti, fino al condizionamento del voto a favore di candidati indicati dall’organizzazione ed evidenziato enormi interessi economici nell’aggiudicazione di appalti, assunzioni di personale compiacente, apertura di centri commerciali, e attività edilizie con forniture di calcestruzzo.

Mondragone, cemento e calcestruzzo al servizio del clan dei casalesi
Mondragone, cemento e calcestruzzo al servizio del clan dei casalesi

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Ditte contigue ai “casalesi” nell’affare della ricostruzione post sisma de L’Aquila

Nella zona del casertano c’è la migliore manodopera in campo edilizio. Questa è una cosa notoria ed accertata. Manodopera che dall’Agro Aversano veniva regolarmente assunta da ditte aquilane o campane per lavorare in cantieri di ricostruzione privata post-sisma attraverso l’intermediazione di altri costruttori campani incensurati ma contigui al clan dei “Casalesi”, i Di Tella. Lo stipendio veniva pagato con buste paga regolari, ma la metà rientrava in contanti a costituire un tesoretto di fondi neri per il gruppo campano. Questo, secondo quanto emerso in conferenza stampa, il “sistema” portato alla luce dall’inchiesta “Dirty job” della Procura distrettuale antimafia abruzzese, che attraverso le indagini della Guardia di finanza ha portato a 7 arresti di imprenditori, aquilani, che hanno fatto affari con la camorra, anche se indirettamente. “Acquisivano quante piu’ commesse possibili a prescindere della loro capacita’ tecniche e di organico – ha spiegato il sostituto procuratore David ManciniSi affidavano alle imprese dei Di Tella che reperivano manodopera solo a Casapesenna e Casal di Principe”. I Di Tella “portavano e alloggiavano all’Aquila quei lavoratori, li facevano assumere dagli imprenditori aquilani, che alla fine emettevano una busta paga con importi corretti, ma poi la offrivano ai Di Tella che gestivano una contabilita’ separata e occulta”. Infatti, ha aggiunto Mancini, “dopo aver percepito l’importo il lavoratore restituiva la meta’ dello stipendio con prelievi bancomat. Non avveniva attraverso la violenza – ha chiarito – ma con intimidazione ambientale diffusa, in qualche caso con alzata di toni a ricordare anche gli obblighi condivisi dalla provenienza geografica”. Il bottino tornava ai Di Tella, ma il giochetto “consentiva comunque di garantirsi un 30% agli aquilani, anche se poi in quei cantieri non ci mettevano le mani”, ha sottolineato ancora Mancini. Di norma gli operai venivano assunti dai Di Tella, a volte anche dagli arrestati ai domiciliari Elio Gizzi, Marino Serpetti  e Michele Bianchini. Continua la lettura di Ditte contigue ai “casalesi” nell’affare della ricostruzione post sisma de L’Aquila