Aveva solo vent’anni, ed il battesimo del fuoco arrivò in un afoso giorno d’inizio estate del 1984. Scontro tra bande avverse, la Nuova Famiglia contro i seguaci del Professore di Vesuviano, l’assassinio di Ciro Nuvoletta avviò la guerra nella Campania post terremoto. Lo scontro sanguinario non aveva età, davanti ai due capi, Antonio Bardellino e Vincenzo De Falco, il Ninno, come lo avevano soprannominato ad Antonio Iovine, si avviava alla carriera di boss. Subito dopo l’agguato si svolse il rito di affiliazione: il dito ”pugnuto”, il santino macchiato di sangue che si incendiava tra le mani, il giuramento che sarebbe venuto meno come quella figurina se avesse tradito. Antonio Iovine, boss pentito del clan dei Casalesi, al patto di sangue è venuto meno: “ho iniziato la collaborazione per avere un futuro migliore, per dare una svolta alla mia vita”, ha esordito così ‘o ninno, nell’aula ex 30 della Corte d’Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in un afoso sabato di giugno, lo stesso mese del suo battesimo di fuoco. Regolamenti di conti, lotte intestine, appalti pilotati, funzionari e amministratori comprati o collusi, buste gialle, fogli bianchi, milioni e milioni di euro, soldi pubblici finiti nelle casse di imprenditori che sceglievano i loro riferimenti criminali. “Fui affiliato al clan dei casalesi con la pungitura nel 1985, lo stesso giorno dell’omicidio Di Nuvoletta, ad affiliarmi – ha detto gesticolando con la mano destra ‘o ninno, l’eterno bambino – furono Antonio Bardellino e Vincenzo De Falco. Mi punsero un dito e fecero cadere alcune gocce di sangue su un santino. Pronunciai un giuramento le cui parole esatte non ricordo, ma nel quale mi impegnavo a non tradire il clan”. Nel video proiettato nell’aula di giustizia a malapena si intravedeva il cappellino griffato nero e il taccuino e penna del suo legale presente. Il patto di sangue è venuto meno. È la prima volta che Antonio Iovine “confessa” pubblicamente le sue malefatte al pm della Dda di Napoli Antonello Ardituro, il magistrato che lo ha convinto a collaborare con la giustizia, dopo 4 anni di carcere duro in Sardegna. Il ministro dell’economia del clan dei casalesi, dopo quasi trent’anni di onorata carriera criminale si è gettato nelle mani di Temi. “Ogni mese entravano nella cassa del clan dei Casalesi 350-400mila euro, disponevo di oltre 100mila euro per la latitanza oltre allo stipendio – ha spiegato Iovine – aiutavo la mia famiglia, chi mi aiutava. Avevo bisogno di parecchie persone, sono stati tantissimi a mia disposizione nel corso degli anni (15 anni circa di latitanza dorata – nda). Per gli stipendi a chi mi aiutava venivano pagati 30-40mila euro mentre gli altri 60mila erano in cassa”. La fine di Bardellino (I siciliani avrebbero voluto che Antonio Bardellino, all’epoca il padrino della cosca, uccidesse Tommaso Buscetta, ma Bardellino non ne volle sapere e per questo motivo fu assassinato in Brasile – nda), il conflitto con i siciliani, l’affiliazione, il suo primo delitto, lo scontro interno al clan dei casalesi, gli affari, le prospettive e le sconfitte, l’ex primula rossa dei casalesi è un fiume in piena. Cervello, piombo e sangue. I racconti fanno accapponare la pelle, con disinvoltura parla di omicidi, molti dei quali, dopo la condanna in primo grado, è stato assolto durante gli altri gradi di giudizio. Le collusioni e il controllo degli appalti è stato negli anni capillare, il rapporto con gli imprenditori è sotto gli occhi di tutti: “all’inizio noi non li cercavamo; aspettavamo che facessero i loro passi per gli appalti dopodiche’ li interpellavamo. Poi furono loro a scegliere noi: ognuno cercava un riferimento con qualcuno di noi”. E le Amministrazioni? “Non ho mai avuto nessun tipo di problema per l’appartenenza politica dei sindaci; anzi, la posizione politica dei sindaci era per noi ininfluente”. Limpido e lineare, ‘o ninno non ha bisogno di accreditarsi ai magistrati. Il suo linguaggio è forbito e preciso, non è il sanguinario di turno che non scandisce le finali ma che sa usare bene il kalashnikov. L’organizzazione casalese è ormai a brandelli, i capi storici sono tutti al 41bis o collaborano con la magistratura. Le nuove leve solo cocainomani ed esaltati. In un batter di ciglio vengono assicurati alla giustizia. Un’alba nuova per la Terra di Gomorra.