Sulla necessità di misure cautelari per l’ex sottosegretario all’Economia, Nicola Cosentino, la Suprema Corte di Cassazione ritiene «necessaria una rivalutazione critica circa la valorizzazione dell’elemento della cessazione della titolarità di cariche pubbliche da parte del Cosentino contenuta nella motivazione del provvedimento», di scarcerazione del 21 giugno e dell’11 ottobre 2013. Cosentino, tornato in libertà l’otto novembre del 2013, ha partecipato alla convention di Forza Campania, la costola dissidente del partito di Silvio Berlusconi. Ha sempre precisato, però, di non fare più politica. Ma i consiglieri di piazza Cavour a Roma – nella sentenza 14773 della Seconda sezione penale, depositata oggi e relativa all’udienza del 17 gennaio – precisano che la «verifica del ‘periculum’ di recidiva specifica avrebbe reso indispensabile una prognosi che tenesse conto congiuntamente degli elementi prospettati dal pubblico ministero»,
«riferibili anche all’arco temporale 2010-2012 oltre che all’attualità». Secondo la Cassazione, devono essere meglio scandagliati gli elementi sul «consolidamento» e sulla «continuità dei rapporti dell’ex parlamentare con ambienti criminali», le «reciproche agevolazioni che ne erano conseguite», e la «conseguente persistenza degli interessi scambievoli che, nella prospettazione accusatoria, manteneva in concreto inalterato il legame con l’associazione criminosa». Quanto alla tesi del tribunale del riesame secondo la quale Cosentino sarebbe un «politico bruciato» e pertanto non più utile ai casalesi, gli ‘ermellini’ sottolineano invece che in realtà Cosentino almeno fino allo scorso aprile, quando la sua mancata ricandidatura alle elezioni politiche venne decisa «solo a poche ore dalla scadenza del termine per la presentazione delle candidature» stesse, non è stato di certo colpito da nessuna «bruciatura». È tutto da verificare, insomma, che i casalesi considerino l’ex sottosegretario un politico fuori gioco dal 2009, quando venne emessa la prima richiesta di arresto. Per questo i supremi giudici chiedono al riesame di correggere la «superficiale svalutazione» con la quale hanno sminuito una intercettazione del 28 marzo 2011 dal carcere di Cuneo nella quale Giuseppe Russo, elemento apicale dei casalesi nonchè «fratello di Russo Mirella, coniugata con Cosentino Mario, fratello dell’odierno imputato», sollecitava «senza mezzi termini un intervento del Cosentino» per farsi trasferire in un carcere «più gradito». Per la Cassazione, «la circostanza sottolinea, al di là del suo esito, come un personaggio di elevata caratura criminale, ancora in epoca recente (aprile 2011) faceva affidamento sulle possibilità di intervento in suo favore del Cosentino». Da valorizzare meglio anche una intercettazione del novembre 2012 nella quale Martino Giuliano, affiliato ai casalesi, «mostra di non dare credito alcuno rispetto alla presa di distanza dal clan camorristico effettuata dal Cosentino in una udienza dibattimentale». E l’intercettazione del febbraio 2011 nella quale si apprende che due imprenditori «tramite Cosentino» volevano ottenere la nomina di un funzionario compiacente sugli appalti. «In presenza di detti elementi – conclude il verdetto scritto dal consigliere Giovanni Diotallevi – deve essere dunque rivalutata la intatta capacità di affidamento del gruppo criminale di riferimento rispetto all’adozione di possibili interventi favorevoli da parte» di Cosentino, «a prescindere pertanto dall’emissione di provvedimenti restrittivi e dalla stessa contemporanea pendenza di un processo aperto nei suoi confronti ed anche a prescindere dalla titolarità formale di incarichi pubblici». Proprio ieri sette consiglieri regionali della Campania che fanno riferimento a Cosentino hanno ufficializzato il distacco da Forza Italia e la confluenza in ‘Forza Campania’.