Le Istituzioni invitano a denunciare. E se uno crede in quello che fa lo deve fare sempre. A prescidere. Ma chi assiste chi ha il coraggio di farlo? Nella Terra di Gomorra dove fino a pochi anni fa si è assistito ad una chiara trattativa Stato-Mafia, la gente ha paura. Qualcosa è cambiato, ma c’è ancora tanto da fare. Ed è abbastanza comprensibile il timore di rivolgersi a chi amministra la giustizia o controlla l’ordine pubblico. Anche perché poi chi ha denunciato o si è ribellato allo strapotere criminale dei clan, a volte si ritrova sconfitto due volte: oltre a perdere la vita di chi ha osato dire no alle mafie, i familiari degli stessi vengono lasciati soli. Appena 138 contributi, pari a 18 milioni di euro, erogati nel 2017 ad altrettanti imprenditori vittime di estorsione su 2500 richieste pervenute. Una goccia nel mare. Le cifre sono state fornite a Casal di Principe, durante gli Stati Generali delle Terre di Don Peppe Diana, evento organizzato per il 24esimo anniversario della morte del prete dal Comitato omonimo, dal funzionario Maurizio Casamassima, collaboratore del Commissario per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura Domenico Cuttaia. “La maggior parte delle richieste – spiega – non erano meritevoli di accoglimento. Noi non diamo contributi a pioggia”. Ma perché molte richieste non sono state accolte? In molti casi gli imprenditori di zone ad alta densità camorristica, come il casertano, e l’Agro aversano in particolare, sconta anche una certa ambiguità della legge, che lascia spazio all’interpretazione personale, per cui una norma come quella che vieta l’erogazione del contributo per chi ha una parentela entro il quarto grado con un esponente del clan, viene applicata in maniera rigida, anche quando emerge che il beneficiario non ha mai fatto affari con le cosche. Una situazione che riguarda anche le persone uccise dai clan, molte delle quali non ancora riconosciute dopo decenni come vittime innocenti, a dispetto di sentenze definitive, e con i familiari che non hanno ancora ricevuto alcun indennizzo. È il caso per esempio di Genovese Pagliuca, ucciso nel 1995 dal clan dei casalesi per punizione, ma mai riconosciuto come vittima dal Ministero perchè era amico di un esponente del clan, nonostante tutte le sentenze abbiano accertato la sua estraneità alla cosca. “Lo Stato – prosegue Casamassima – non può accettare alcuna forma di contiguità tra i beneficiari dei contributi e i clan, ma non sempre i rapporti di parentela sono significativi, e quando emerge che il beneficiario non è in alcun modo vicino al clan, il contributo va concesso, a prescindere dai legami familiari. Anzi come Commissariato, presto presenteremo una proposta per allargare la platea dei beneficiari anche a quei lavoratori vittima di caporalato. Il prefetto Vincenzo Panico, che presiede il Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso e che esamina e delibera l’accesso al relativo Fondo, dice che “dobbiamo lavorare con le norme che abbiamo, possiamo però riflettere su come applicarle”. Ancora più chiaro il sostituto della Direzione Nazionale Antimafia, Cesare Sirignano. “Se l’imprenditore denuncia i clan e non lo fa in modo strumentale – dice – è giusto che lo Stato gli riconosca il contributo previsto per legge. Qui nel casertano abbiamo assistito ad imprenditori che facevano il doppio gioco, ma non sempre è così. Va distinto caso per caso”. L’avvocato Gianni Zara, che difende molte vittime dei clan, dice che “il legislatore deve intervenire per essere più chiaro. Lo chiediamo da tempo”. Presenti alla tre giorni a Casal di Principe, tra gli imprenditori che hanno denunciato i propri estorsori ma che non hanno ancora ricevuto nulla dallo Stato, Antonio Picascia, titolare della Cleprin, azienda data alle fiamme dalla camorra e poi riaperta tra mille difficoltà burocratiche, e Roberto Battaglia, che per colpa di strozzini ed estorsori del clan ha perso la propria azienda agricola di Caiazzo. All’evento c’erano i sindaci di Marcianise Antonello Velardi, da poco sotto scorta, e quello di Casal di Principe Renato Natale, che ha chiesto “maggiore attenzione per il mio Comune. Qui lo Stato si gioca una partita fondamentale, ovvero che è possibile che le cose cambino anche in una realtà come la nostra, simile a territori come Corleone. Ma ci vogliono più risorse, sia economiche che di competenze”.