“Se la mafia prospera nel nostro Paese è perché lo Stato non è riuscito ad imporre la sua autorità sul territorio con decisione”. A parlare non uno dei soliti convegnisti di professione antimafioso che nella nostra maledetta terra proliferano a go-go. Non un professionista antimafia aderente a qualche associazione che ha, o pensa di avere, il monopolio sulla gestione o meno di fatti e patrimonio mafioso. A pronunciare queste parole, che sembravano macigni, rivolgendosi agli intervenuti durante una sessione di lavoro di giornalismo investigativo è stato il direttore della Direzione Investigativa Antimafia, il Generale di Divisione Giuseppe Governale. “A Milano – ha proseguito Governale – nel 2018 c’è stato un aumento del 38% dei ristoranti perché le organizzazioni criminali, in particolare la ‘ndrangheta, hanno l’esigenza di ‘lavare’ i proventi del narcotraffico. Le mafie, pur di ripulire il denaro, sono disposte a perderne una buona parte perché altrimenti il denaro sporco non sarebbe spendibile. Abbiamo difficoltà a battere le mafie perché, guadagno a parte, c’è sete di potere e la volontà di contare sul territorio. Si va dagli imprenditori sprovveduti agli affaristi complici. Ciò che manca per combattere concretamente le mafie è la motivazione, che non coincide con la professionalità. Si tratta di una malattia sistemica”. Come dare torto ad un uomo delle Istituzioni che fa un’autocritica sincera, lancia un grido d’allarme netto e chiaro. Ma a chi si rivolgeva il generale Governale? Beh, nella terra dello strapotere del clan dei casalesi, vivi e vegeti più che mai, Cosa Nostra campana non ha mai ceduto il passo al cambiamento. Non vuole rinascere. Anzi, camaleonticamente, sta cambiando pelle. Al clan dei casalesi non conviene sparare più. S’attirerebbe l’attenzione e non conviene a nessuno, non servono i morti ammazzati. Dissidi e regolamenti di conti appianati con il piombo e avati col sangue sono materia del passato. Come ha rivelato il pupillo della famiglia Schiavone-Sandokan, il primogenito Nicola, che dice di essere collaboratore di Giustizia (?), “dal 2006 non ha senso nemmeno più il rito dell’affiliazione” con la goccia di sangue sul santino di Santa Maria Preziosa. Allora non parliamo più di mafia made in Casal di Principe dopo il periodo del terrore di Peppe Setola? Assolutamente no. Il modello Caserta ha risolto il problema “militare” della mafia nell’Agro aversano, e basta. È vero, i fenomeni estorsivi si sono ridotti. Oggi la mafia ha la gestione di grosse fette dell’economia legale: meglio controllare il mercato ed i flussi di danaro direttamente che “sporcarsi” le mani. Oggi la mafia è impresa. Le grosse famiglie non hanno mai perso il controllo. Il patrimonio economico illecitamente accumulato va capitalizzato in attività economiche anche perdendoci la metà. Qui dove il voto non è libero, dove un appalto pubblico fa gola. Tanto c’è l’avallo di una classe dirigente politico-amministrativa che non ha mai disdegnato e combattuto realmente i clan: la politica non ha mai smesso di prestare il fianco a chi aveva ed ha il controllo del territorio con la forza dell’intimidazione mafiosa. L’omertà la fa da padrona ancora, forse più di prima. I ministri della Chiesa sanno, ma è meglio fare finta di non sentire nè vedere. La gente non denuncia perchè non ha fiducia. Qui dove un “posto” nelle forze dell’ordine costa fino a 30 mila euro, il degrado morale è dilagante. Intanto i sodalizi hanno patrimoni immobiliari, commerciali e liquidità a balle presso prestanomi e società di comodo. Addirittura hanno immesso nella finanza globale banconote di 500 euro che fino a qualche mese fa hanno rivenduto agli emissari degli imperialisti made in China. Le famiglie Bidognetti, Zagaria, Iovine, nonostante i colpi inferti dall’autorità giudiziaria non hanno mai smesso di avere il controllo del territorio. A capo della diplomazia criminale “resiste” da un trentennio la famiglia Schiavone. Sono sempre i familiari e sodali del malandato Sandokan i veri dominus. Non hanno mai disdegnato di spartirsi la torta con le altre mafie, con gente che arriva da altri territori o coi capi di altri mandamenti campani e extra-regionali. Restano I capi indiscussi del “sistema” casalese. Per le attività “sporche” ed i fiumi di droga che scorrono nelle strade e nelle piazze dell’Agro ci sono stranieri o congiunti di vecchi capi bastione. Le famiglie mafiose hanno il controllo di centinaia di attività commerciali, dalla distribuzione dei prodotti agro-alimentari alla ristorazione, passando per le centrali di giochi on-line e scommesse sportive arrivando al sempreverde ciclo del cemento e il mercato immobiliare. Financo associazioni sportive sono saldamente in mani mafiose. Controllano dal cibo al divertimento. Panem et circenses, dunque. Ovviamente gli onesti, ci sono e sono vittime. Subiscono. Parecchi non si ribellano manco più. Ma molti ignorano. Non sanno da chi spendono o investono i risparmi di una vita di stenti e sacrifici. Nell’Agro aversano tutto è come prima se non peggio. Un esercito di affiliati laureati e masterati girano in giacca, cravatta e calzino fantasmino alla guida di auto di lusso, abitano ancora nei fortini, quelli dai rubinetti placcati d’oro. I più sicuri partono dai paesi di origine e girano armati di pistole con la matricola abrasa. Purtroppo a combattere il Male c’è tanta ignavia e superficialità, un esercito debole e male organizzato.