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“Giovà, la malavita è finita”, il superkiller Setola si pente in aula. Il pm Milita: “non sono minimamente sorpreso”

“Dottor Milita, io ci vedo benissimo. Da oggi voglio fare il collaboratore di giustizia. Mandatemi a prendere. Mettete in salvo la mia famiglia altrimenti i Bidognetti li uccidono. Dottore venga da me gia’ questa sera e le diro’ tutto. Mi dispiace per Casal di Principe”. Nell’udienza di mercoledì scorso, il primo di ottobre, lo aveva escluso. “Fino a poco fa volevo fare una scelta collaborativa – disse – ma mi sono tirato indietro perche’ avrei dovuto accusare tutta Casal di Principe”. Giuseppe Setola, l’uomo che per fuggire al carcere duro si finse cieco nel 2008, inaugurando una stagione ‘del terrore’ nel Casertano per conto del gruppo Bidognetti dei Casalesi, collegato dal carcere di Opera all’aula del tribunale di Santa Maria Capua Vetere per il processo sull’omicidio dell’imprenditore Domenico Noviello, che anziche’ pagare il ‘pizzo’ denunciò la cosca, ha piu’ volte fatto dichiarazioni da colpo di teatro. La cautela con cui i pm della Direzione antimafia di Napoli accolgono le sue richieste nasce anche da precedenti incontri con il capo dell’alla stragista dei Casalesi. Uno lo raccontava anche lui al collegio giudicante sempre una settimana fa: “venne da me il procuratore Conzo gli dissi le stesse cose che sto dicendo qua (si sta accusando di 46 omicidi, ndr.) ma mi disse che sono pazzo”. E il 17 settembre, alla ripresa delle udienze del processo che si avviava alla conclusione, tra lo stupore generale, aveva revocato il mandato difensivo al suo legale ‘storico’, Alberto Martucci, scegliendo Lucia Annibali, l’avvocato sfregiato dall’acido su mandato del suo ex fidanzato ora condannato. Continua la lettura di “Giovà, la malavita è finita”, il superkiller Setola si pente in aula. Il pm Milita: “non sono minimamente sorpreso”

Casalesi/Sequestrati dalla finanza beni per 40 milioni di euro all’imprenditore vicino a Zagaria

I finanzieri del comando provinciale di Latina hanno sequestrato beni per 40 milioni di euro ad un imprenditore di Villa Literno (Caserta) del settore petrolifero e immobiliare, considerato vicino al clan dei Casalesi. Secondo la Gdf, l’imprenditore liternese per oltre un ventennio ha intrattenuto relazioni stabili e continuative con la criminalità organizzata campana, considerato ‘dominus’ di numerose attività imprenditoriali. Dalle dichiarazioni plurime e convergenti di alcuni collaboratori di giustizia l’imprenditore risulta appunto collegato con esponenti del clan dei Casalesi, che fanno capo a Michele Zagaria e alla famiglia Bidognetti. A loro avrebbe corrisposto a più riprese ingenti somme di denaro attraverso il cambio di assegni che gli veniva richiesto di volta in volta: una sorta di interazione paritetica tra l’imprenditore e la consorteria criminale che si traduceva in favori e protezioni. L’attività investigativa ha consentito di chiarire, relativamente alle operazioni di cambio assegni, come venissero da lui svolte con una tale indifferenza da non preoccuparsi minimamente della provenienza illecita degli stessi così da inserire nel circuito legale contanti provenienti dai propri conti correnti. Sotto l’aspetto patrimoniale è stata individuata una evidente sperequazione tra le entrate e le uscite dell’imprenditore. Tra l’altro, spiega la Gdf, tale sperequazione ha assunto maggior valore “considerando che è frutto di patrimonializzazione occulta di ingenti capitali per contanti, attraverso l’acquisto di immobili e terreni, anche con il pagamento in nero del corrispettivo pattuito”. Nell’operazione di polizia giudiziaria sono state approfondite anche una serie di segnalazioni per operazioni sospette previste dalla normativa antiriciclaggio nelle quali sono state evidenziate numerose anomalie su movimentazioni finanziarie risultate prive di qualsiasi giustificazione. Continua la lettura di Casalesi/Sequestrati dalla finanza beni per 40 milioni di euro all’imprenditore vicino a Zagaria

Il superkiller Setola ammette 46 omicidi, «ero sulla via del pentimento: avrei dovuto accusare tutta Casal di Principe»

“Sono colpevole dell’omicidio Noviello ma non mi pento”. Così il capo dell’ala stragista dei Casalesi Giuseppe Setola intervenuto in video-conferenza dal carcere di Milano-Opera all’udienza del processo per l’omicidio di Domenico Noviello in corso al tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Il camorrista, gia’ condannato a sette ergastoli definitivi per 15 omicidi, in sede di dichiarazioni spontanee, per la prima volta si e’ autoaccusato del delitto del commerciante. Noviello fu ucciso a Castel Volturno il 16 maggio 2008. Setola inoltre ha indicato i complici. “A Massimo Alfiero diedi mandato omicidiario” dice il killer che poi accusa anche gli imputati Metello Di Bona e Luigi Tartarone, pentito. Setola inoltre afferma: “stavo facendo la scelta collaborativa ma sono tornato indietro altrimenti avrei dovuto accusare tutta Casal di Principe e mia figlia non sarebbe piu’ potuta andare a scuola a Casale. Quando avevo intenzione di collaborare – ha detto ancora Giuseppe Setola – venne da me in carcere il dottor Conzo che pero’ mi disse che ero pazzo”. In una lettera inviata alla Corte d’Assise (presidente Maria Alaia) il 21 luglio scorso, e acquisita oggi agli atti, il killer aveva già preannunciato la svolta della sua strategia difensiva. Nella lettera, Setola prima afferma di non aver commesso il delitto Noviello e poi fa capire di essere stato il mandante e chiede scusa alla famiglia “era un brav’uomo non meritava di morire”, ha scritto.

Un investigatore della Dia conferma: grazie a Cosentino i finanziamenti per il centro commerciale “Il Principe”

Un incontro avvenuto a Roma il 7 febbraio del 2006 presso la filiale di via Tiburtina della Unicredit Banca d’Impresa, tra Nicola Cosentino, il responsabile ella filiale Cristofaro Zara, suo cognato Mario Santocchio e Luigi Cesaro, sarebbe stato decisivo per lo sblocco da parte dell’istituto di credito della pratica di finanziamento alla Vian Srl per la costruzione a Casal di Principe del Centro Commerciale “Il Principe”, in cui aveva interessi il clan dei Casalesi. E’ il resoconto nell’aula del tribunale di Santa Maria Capua Vetere dell’esame dell’investigatore della Dia di Napoli, il maresciallo Carmine Sollo, teste d’accusa, l’uomo che si e’ occupato di tutte le intercettazioni telefoniche durante l’inchiesta. Nel processo, l’ex sottosegretario all’Economia e’ imputato per reimpiego di capitali illeciti. Il maresciallo narra cronologicamente al pm Fabrizio Venorio quella che e’ stata la genesi di tutta l’inchiesta. Racconta, infatti, che il primo imput investigativo sull’affare del centro commerciale si ha mentre per altri motivi stanno intercettando tutta la famiglia del boss Francesco Bidognetti. In particolare, Sollo riferisce di una intercettazione ambientale datata 19 marzo 2006 tra Giovanni Lubello, marito della figlia del boss Francesco Bidognetti, quest’ultima e una coppia di amici. Continua la lettura di Un investigatore della Dia conferma: grazie a Cosentino i finanziamenti per il centro commerciale “Il Principe”

La camorra nell’affaire monnezza, il sistema già corrotto da politica e imprenditoria

Una condanna a 14 anni di reclusione. È quanto ha richiesto al collegio giudicante presieduto da Orazio Rossi del tribunale di Santa Maria Capua Vetere il pm Antonello Ardituro, alla fine della requisitoria del processo che vede imputato l’ex sindaco di Villa Literno e attuale consigliere regionale Enrico Fabozzi per concorso esterno, reimpiego, turbativa d’asta, corruzione e voto di scambio. Ardituro ha chiesto anche che all’ex primo cittadino venga riconosciuta l’aggravante di aver fatto parte di una associazione armata. Il pm, poi, ha chiesto l’assoluzione per il reato di estorsione per Raffaele Pezzella, per il quale pero’ vuole 3 anni di pena per turbativa d’asta; per Nicola Caiazzo una condanna a 3 anni; per i collaboratori giustizia Francesco Diana, Massimo Iovine e Gaetano Ziello una pena di 1 anno e sei mesi. Tre anni, invece, per l’altro collaboratore Emilio Di Caterino. Per i due fratelli imprenditori Pasquale e Domenico Mastrominico, il pm ha chiesto 11 anni di reclusione. Tutti accusati di concorso esterno in associazione camorristica per il maxi appalto da 13 milioni di euro concesso nel 2007 ad imprenditori vicini al clan dei Casalesi. Nella requisitoria  Ardituro ha ripercorso quelli che sono stati i rapporti tra imprenditori, Fabozzi e la camorra nella gestione degli appalti. Una “filiera” ha detto Ardituro, che inizia con il patto avvenuto nel 2003 tra Fabozzi e Luigi Guida, oggi collaboratore. Continua la lettura di La camorra nell’affaire monnezza, il sistema già corrotto da politica e imprenditoria