Il 4 marzo prossimo i cittadini italiani sono chiamati a votare per rinnovare i due rami del Parlamento. Chi si candiderà a rappresentare le istanze dei cittadini della martoriata terra di Gomorra? Boh! Circolano dei nomi di possibili papabili, ma al momento tanto caos e soprattutto tante chiacchiere da bar sport. La Città di Aversa che dal ’46, tranne rarissime occasioni, è stata sempre rappresentata da parlamentari nati e cresciuti nella città millenaria fondata dai normanni, rischia questa volta di rimanere senza rappresentanza. Campanilismo? Provincialismo? Aversa e l’intero Agro aversano erano il fiore all’occhiello della provincia di Terra di Lavoro. Nel bene e nel male. Il primo deputato di camorra definito tale nell’aula della Camera dei Deputati è stato un aversano, don Peppuccio Romano. Uno che sapeva campare. Un aversano purosangue che aveva fatto del potere la ragione della propria esistenza. Aveva un unico obiettivo, comandare. E lo sapeva fare. Aveva tutti ai suoi piedi. Nonostante venisse eletto altrove, Aversa era la culla del suo affarismo sfrenato. Aveva sottomesso la pubblica amministrazione a tal punto da renderla serva del suo impero economico e familiare. Sindaci, assessori, consiglieri comunali, provinciali, preti, vescovi, parlamentari, giornalisti, prefetti, procuratori del Re, pretori, ministri. Tutti al suo servizio. Sapeva come “trattarli”. La schiera di giannizzeri armata delle basse camorre locali che lo accompagnava tra Napoli e Sessa Aurunca, passando per Aversa, era ben ammaestrata. I galoppini erano disposti a tutto. Poi la storia ha fatto il suo corso. Finì in malora. Oggi non se lo ricorda nessuno però. A tutti è stata dedicata una stradina o piazzetta. A lui no. Quell’aurea di potere che ha accompagnava la losca figura di don Peppuccio ormai è una chimera. Gli aversani da allora hanno fatto i conti con uomini che hanno tentato di scimmiottare lo strapotere peppuccesco. Nessuno mai è arrivato ai suoi livelli, o quasi. Il moderatismo di stampo cristiano ha preso il passo nel frattempo. Meglio stare nel mezzo, il motto degli aversani. Anche a livello parlamentare. Nessuno ha brillato per ciò che ha fatto. C’è chi rimarrà nella storia per essere stato l’unico parlamentare eletto nelle file del partito comunista o chi, ripreso dalle telecamere del tg5 a votare per gli amici di partito e passato alla storia come il “pianista”. O chi per un puro scherzo del destino ha conquistato il seggio parlamentare per una lotta intestina tutta interna al centrosinistra. Poi c’è stato chi ha passato indenne a parecchie bufere giudiziarie. È il caso di Pasquale Giuliano. Nella prima repubblica il fratello Nicola, revisore dei conti al Comune di Aversa, democristiano, era legato all’area di Bisceglia e del sottosegretario Peppino Santonastaso. L’ex magistrato, dopo un passaggio di sfuggita nel movimento di Ayala Alleanza Democratica, nel 1996 aderì al progetto forzista di Silvio Berlusconi. Svariate volte deputato prima e poi senatore, è stato anche, poco più di un anno, sottosegretario alla Giustizia. È stato uno dei più fedeli degli azzurri campani. È stato coordinatore del partito berlusconiano a Caserta quando in Campania regnava il compagno di partito Nicola Cosentino o’merican, tristemente noto alle cronache come espressione del clan dei casalesi nei palazzi del potere. Sempre indenne a tutte le inchieste giudiziarie, nonostante i racconti di qualche collaboratore di Giustizia del calibro di Gaetano Vassallo, il suo operato è risultato sempre etereo e cristallino. Anche quando compare nell’informativa del Ros dei carabinieri a proposito di un’indagine sull’area ex Texas e del tramontato sogno di un polo dell’ortopedia di 100 posti letto “gestito” nipote ortopedico nell’ex fabbrica americana di proprietà dei Cesaro da Sant’Antimo. Oggi promuove incontri culturali allenandosi nella sua creatura, la “Palestra Normanna”. Nulla di nuovo sotto questo cielo dunque. Non è sempre oro quello che luccica.